La favola dell’attentatore depresso

Il binomio depressione-attentati sembra essere diventato l’elemento caratterizzante dei terribili fatti di violenza che riempiono giornali e notiziari negli ultimi anni. Il problema è che oggi l’informazione relativa a simili avvenimenti è spesso superficiale, frammentaria, fuorviante e orientata alla ricerca di spiegazioni senza un’attenta analisi degli antecedenti. Si tende a confondere le motivazioni ed i contesti in cui si sono manifestati gli eventi, dimenticando che la depressione, da sola, non giustifica l’omicidio.

Ma che cos’è la depressione?

Alcuni dati: 
La depressione è davvero il male del secolo; l’Oms ritiene che circa 121 milioni di persone nel mondo convivano con questo disturbo. Risulta che il 2% dei bambini, il 4% degli adolescenti e dal 4% al 10% degli adulti abbia in un anno un episodio di depressione che dura almeno due settimane. Circa il 15% delle persone ha un episodio di depressione almeno una volta nella vita (una donna su quattro e un uomo su otto). Sempre secondo l’Oms, tra tutti i disturbi e le malattie, la depressione è al quarto posto in ordine di importanza per le sofferenze e la disabilità che provoca e si stima che, nel 2020, sarà la seconda causa di invalidità al mondo, subito dopo l’ischemia del miocardio.

Sintomi più frequenti:

1. umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riportato dall’individuo (per es., si sente triste, vuoto, disperato) o come osservato dagli altri (per es., appare lamentoso); la tristezza o l’angoscia sono di solito maggiori in un particolare momento della giornata, perlopiù al mattino.

2. marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni

3. significativa perdita di peso, non dovuta a dieta, o aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese) oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi tutti i giorni.

4. alterazione del ciclo del sonno con conseguenti insonnia o ipersonnia quasi tutti i giorni

5. agitazione o rallentamento psicomotori quasi tutti i giorni (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato)

6. faticabilità o mancanza di energia quasi tutti i giorni

7. sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi tutti i giorni (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per il fatto di essere ammalato)

8. ridotta capacità di pensare o concentrarsi, o indecisione, quasi tutti i giorni (come impressione soggettiva o osservata da altri)

9. pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o un piano specifico per commettere suicidio.

La depressione può avere livelli di gravità molto diversi e solo nelle forme gravissime può essere causa di agiti violenti, prevalentemente di tipo suicidario ed, eccezionalmente, di tipo omicidiario. Questo succede perlopiù quando la persona si sente prigioniera di un tunnel di rovina senza fine per sé e per la sua famiglia e pensa che l’unica salvezza sia porre fine alla vita.

La maggior parte delle persone con depressione, tuttavia, soffrono profondamente, possono arrivare a pensare che sarebbe meglio non vivere, ma di solito hanno anche unagrande sensibilità e rispetto per gli altri e per la loro esistenza.

Il professor Andrea Fagiolini, direttore del Dipartimento interaziendale di Salute mentale all’Università di Siena, intervistato a seguito del caso di Andreas Lubitz [il pilota omicida-suicida del volo Germanwings nel 2015] dichiara: «Considerare chi è depresso come potenziale suicida o, peggio, omicida è ingiusto e scorretto. Curare adeguatamente la malattia mentale, senza stigma, negazioni o ideologie, rappresenta una strada più giusta che, anche se non potrà mai annullare completamente il rischio di suicidio o di incidenti, può comunque diminuire il numero di persone che si uccidono e comunque alleviare le sofferenze di tante persone che ogni giorno si confrontano con queste gravi malattie».

Diverso è invece il caso della psicosi in fase acuta: quando una persona ha deliri, allucinazioni o comportamenti violenti è indispensabile che sia curata in un luogo sicuro, dove possa ricevere le cure adeguate mentre, allo stesso tempo, si possa garantire un’adeguata protezione al resto della società di fronte a comportamenti che possono essere pericolosi anche per gli altri.

Oggi sembra esserci la tendenza, da parte di persone avvolte nei propri problemi personali, ad usare la violenza come esito delle proprie patologie nascondendosi dietro a parole come “ISIS” o “fondamentalismo”. Si tratta di persone che in un certo qual modo hanno trovato un forte sentimento di distacco dal resto del mondo, da una società nella quale si stanno perdendo i legami di appartenenza gruppale e di comunità e i legami familiari o amicali sono poco contenitivi rispetto al disagio psicologico.

“In ogni atto criminale si cerca sempre di attenuare il personale senso di colpa, attribuendo le proprie condotte a fattori esterni. È un fenomeno noto comederesponsabilizzazione. Funziona benissimo.Anche il disagio mentale può fungere da personale via di esclusione della responsabilità. Un cocktail micidiale quello dell’appello alla religione e disturbo mentale che può slatentizzare la furia omicida di persone già prepotentemente violente.” (Silvio Ciappi – Criminologo)